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Vintage non più Vintage

 

Già da anni, nel campo dell’audio professionale, è diventato oggetto di approfonditi studi un particolare fenomeno psichico-acustico che, con una definizione magari un poco azzardata, potremmo definire come “vocalismo socio-tecnologico”.
Chiunque può sperimentare autonomamente l’evidenza di tale fenomeno (ancora poco conosciuto, ma che si va ormai diffondendo ormai con una velocità a dir poco impressionante…) semplicemente pronunciando, in presenza di qualsiasi fonico o musicista che abbia avuto la fortuna di frequentare il web almeno un paio di volte in vita sua, determinate parole di sapore quasi cabalistico come “Neve 1073”, “ Neumann U47”, o più semplicemente “Pultec”…
Negli istanti che immediatamente seguiranno (usualmente preceduti da qualche secondo di religioso silenzio…) le persone dotate di un certo, definiamolo…”orecchio clinico” avranno così modo di percepire una serie di emissioni vocali di chiaro carattere rituale che suoneranno più o meno come degli “oooh” o anche “aaah” o, in casi più rari, anche degli “ehhh”.
Questo fenomeno (che si sta diffondendo di pari passo con l’aumentare della quantità di Kbyte erogati dalle connessioni internet…) potrà essere ricondotto, dagli esaminatori più attenti, all’aura esoterica che repentinamente si materializza sul posto, inesorabilmente evocata dalle sigle di quelle determinate “periferiche audio” che, indiscutibilmente, hanno svolto una parte non convenzionale all’interno della storia del suono registrato occidentale degli ultimi cinquant’anni… (e non solo… i banchi Neve li usavano anche a Singapore…).

Non è un caso infatti, che al momento attuale negli USA (ma anche in Inghilterra o Germania… o a Singapore…) nella “gear list” di qualsiasi studio che abbia intenzione di lavorare a certi livelli non possano mancare almeno una mezza dozzina di rack contenenti, nella maggior parte dei casi, dei semplici ”strip channels” (letteralmente, canali strappati…) tirati via da qualcuno dei tanti banchi di mixaggio che furono in uso nel periodo compreso fra gli anni ’50 e gli anni ’70, ognuno dei quali dotato delle sue specifiche caratteristiche (siano essi stati marchiati Electrodyne, Neve, API, Altec, Telefunken…).

E’ anche vero, tra l’altro, che la presenza nella control room di un paio di scatole di metallo blu con con sopra scritto PULTEC (magari insieme alla presenza nello studio di un registratore a Bobine MCI JH110 8 tracce su 1”) può far sì che il futuro gruppo indie rock dell’anno scelga di registrare da voi piuttosto che in uno studio il cui vanto principale è costituito da un sistema Pro Tools Rev 45.011 HD CCCP e un banco Amek 9098.
Da almeno una ventina d’anni infatti negli USA, in corrispondenza (guarda caso…) con l’affermarsi del digitale all’interno del mondo della registrazione professionale, molti tecnici, seguendo le indicazioni dei loro predecessori, hanno iniziato a rivalutare ed impiegare per il loro lavoro certe apparecchiature storiche del passato, come preamplificatori, eqs, compressori…(valvolari o meno...).
A dire il vero, in molti dei più grossi studi degli Stati Uniti, tali apparecchiature semplicemente non hanno mai smesso di funzionare; anzi, in molti casi è stato proprio il “vintage gear” presente nella regia di studi storici come il Power Station di Los Angeles a conferire l’impronta caratteristica alla musica registrata nello studio (esempio: per tutta la durata della sua attività, al Power Station è stato installato un banco Neve 8068, accanto al quale facevano bella mostra di sè 24 eq a valvole Pultec… e questo è solo uno delle decine di studi degli Stati Uniti che semplicemente non hanno mai smesso di usare la “robba vecchia” ALIAS “Vintage gear”…)
Se volessimo poi farci un’idea sull’importanza che il vintage gear ha ormai assunto nel mondo dell’audio pro americano ( e non…) basterà dare un occhio alle quotazioni ormai folli che è in grado di raggiungere su Ebay qualsiasi pezzo di ferro abbia la fortuna di avere sopra il marchio Neve ( ma l’importante è che però tale marchio sia stato stampato prima del 1981…).
Ma se comunque ci capitasse di fare un giro nei dintorni di altri marchi meno (ma neanche troppo) blasonati, potremo notare come già da un pezzo macchine come l’UREI 1176 revisione C o il Teletronix LA-2A, o il Pultec EQP-1A… ( ma anche l’Altec 438C) abbiano raggiunto quotazioni di tutto rispetto, e questo non solo per questioni di “MODA”.

Circa il perché della superiorità acustica di periferiche d’epoca sia a valvole che a transistor rispetto a quelle odierne… ( iniziamo comunque col togliere di mezzo una delle tante leggende tecnologiche che si sentono in giro… Rupert Neve, a parte 6 banchi a valvole e qualche non meglio identificato modulo eq costruito negli anni ’50, ha sempre e solo costruito periferiche a TRANSISTOR… almeno fino al 1981…) circolano poi nell’ambiente numerose spiegazioni molto approssimative, all’interno delle quali sono compresi luoghi comuni come… “le valvole producono armoniche pari, i transistor armoniche dispari…” (sorvoliamo su questo argomento anche perché già esistono sul web un centinaio di pagine in grado di smentirlo impietosamente…).
Il suono di un compressore come il Teletronix LA-2A, o di un Preamp Neve 1290 o di un equalizzatore Pultec EQ-P1A infatti, più che dipendere dal look, dalla puzza di condensatori vecchi o dalle caratteristiche di risposta in frequenza stampate al fondo del suo manuale di istruzioni (o dalla frase “non fanno più le cose di una volta…” ) dipende piuttosto da una serie di caratteristiche circuitali, che in molti casi prescindono dalla tecnologia (valvole o transistor…) con cui la macchina è stata concepita.
Il perché infatti, gran parte delle macchine vintage càpita che suonino, per così dire, “meglio” di quelle concepite dopo gli anni ’80 ( sempre se opportunamente revisionate, un condensatore elettrolitico, vintage o meno, dopo quarant’anni di onesto servizio necessita usualmente di essere sostituito…) è da ricercare piuttosto che nell’età, in una serie di caratteristiche tecnologiche specifiche che ne caratterizzano la costruzione, caratteristiche che tra l’altro differiscono anche di molto fra macchina e macchina…
Così la definizione “vintage” (che letteralmente significa d’annata) aggiunta alla sigla di un apparecchio “vecchio”, da un punto di vista strettamente tecnico è una parola in grado di mettere in gioco una quantità tale di fattori che, se non correttamente contestualizzati, rischiano di generalizzare eccessivamente il senso attribuito al termine, al punto che vintage potrebbe finire solo per significare “scatola di metallo molto pesante, su cui fanno mostra di sé un paio di grosse manopole e un ingombrante VU-Meter”.
Se infatti, armati del necessario know-how, decidessimo di curiosare all’interno dei circuiti di periferiche fra loro anche apparentemente analoghe (es: fra un compressore Altec 438C e un Fairchild 660 ci sono una serie di differenze, anche se entrambi usano un circuito di compressione basato su una valvola Vari-MU…) noteremmo tutta una serie di caratteristiche strutturali così diverse fra loro che, se proprio volessimo cercare trovare qualcosa che accomuni fra loro una categoria di apparecchi costruiti nello stesso periodo, troveremmo alla fine che l’unica caratteristica che questi mostrano di condividere (siano essi a valvole che a transistor), è costituita semplicemente dalla presenza al loro interno dei cosiddetti TRASFORMATORI D’IMPEDENZA.
Infatti, l’impiego dei trasformatori di impedenza, al di là delle diverse topologie del circuito all’interno del quale sono applicati, finisce per rappresentare l’unica COSTANTE di tutto il periodo a cui appartengono le periferiche di cui stiamo parlando, e sono anche (non a caso) fra i componenti che più caratterizzano il suono ( e il prezzo…) di questi apparecchi.
Se infatti tralasciamo il fatto che, almeno fino agli anni ’70, il trasformatore di impedenza fosse il solo componente che permettesse effettivamente di bilanciare un segnale e di isolare galvanicamente un circuito dal mondo esterno, per capire veramente perché questo componente tipico della tecnologia valvolare è tracimato con così tanta prepotenza anche all’interno delle tecnologia solid state (al di là delle diverse scuole di pensiero pro o contro i trasformatori audio…) dobbiamo tenere in considerazione anche un fenomeno studiato in filosofia della scienza che si chiama “innesto di tecnologia”.
Successe infatti che, all’inizio della tecnologia dei transistors, quando non si sapeva ancora molto sulle caratteristche di questi nuovi componenti, i primi circuiti sviluppati risentirono molto delle topologie circuitali in uso nel periodo tecnologico precedente, impego dei trasformatori incluso.
E gli schemi delle periferiche costruite in quel periodo dimostrano come i primi circuiti audio a transistor sviluppati altro non fossero che trasposizioni in chiave solid-state di circuiti classici della tecnologia valvolare.
Un esempio molto esemplificativo di questo processo è infatti rappresentato dal famigerato stadio di uscita in classe A impiegato per anni dalla Neve (contenuto nella scheda BA283, ed accoppiato al suo specifico trasformatore, l’LO1166) è che è praticamente diventato l’emblema del “NEVE SOUND”.
Questo circuito altro infatti non è che la trasposizione in ambiente solid-state di una topologia tipica dei circuiti a valvole cosiddetti “single ended”, vale a dire una configurazione circuitale in cui l’alimentazione dello stadio finale in classe A viene fatta passare attraverso il primario del trasformatore di uscita…
Tralasciando Neve poi, possiamo anche citare i preamp Neumann PV-76, che invece usano una circuitazione in push-pull con trasformatore di interstadio, come nei più classici circuiti amplificatori a valvole, oppure i pre ADM668, che impiegano uno stadio amplificatore di uscita con due transistor operanti in push-pull connessi a un trasformatore con la presa centrale collegata all’alimentazione… (come in qualsiasi ampli Fender o Marshall che monti due 6L6 o EL34).
OK, nel campo dell’audio il vintage non si ferma comunque solo ai primi vagiti della tecnologia solid-state degli anni ‘60, ed infatti, più avanti, troviamo nuove soluzioni circuitali progettate in grado di sfruttare appieno le potenzialità specifiche offerte da questi nuovi componenti.

Sempre tralasciando l’evoluzione dei banchi Neve con la serie 1081, Studer con la serie 089 e via dicendo, notiamo infatti come periferiche prodotte da ditte come la API (Automated Process Inc.) ed altre case costruttrici durante gli anni‘70 (come la ADM, Electrodyne, Quad Eight, ma anche Yamaha…) caratterizzarono i loro progetti sviluppando ognuno il loro “discrete op-amp”, vale a dire un amplificatore operazionale assemblato a partire da componenti “reali” e non grazie alla tecnologia fotografica con cui sono costruiti i chip (vale a dire, transistor, resistenze e condensatori che poi andavano rinchiusi dentro una scatola di resina…). Amplificatori operazionali di progetto esclusivo (come il famoso API 2520) da cui indubbiamente dipese ( e in alcuni casi dipende tuttora) gran parte del timbro caratteristico dei moduli costruiti da queste ditte, al punto che ad esempio la API, stanca di ditte che producevano cloni dei suoi preamp impiegando i suoi operazionali, oggi come oggi vende un 2520 solo se gliene si dà uno rotto indietro…
Ma anche in questo caso il suono prodotto da preamp, come ad esempio l’API 512, non può prescindere dallo specifico trasformatore a cui questi op-amp sono associati…
Normalmente infatti, il suono di un circuito di questo tipo progettato per avere determinate caratteristiche, solo in pochi casi può essere essere dissociato dal trasformatore con il quale è stato concepito, pena l’inevitabile modifica (in alcuni casi anche sostanziale… ) della sua sonorità peculiare…
La conseguenza di ciò è che il SUONO di un qualsiasi preamp Neve, Studer o API dipende SEMPRE dall’interazione del SUO trasformatore con il SUO circuito, e Rupert Neve stesso afferma tranquillamente che l’LO 1166 fu progettato e sviluppato al solo ed esclusivo scopo di funzionare correttamente con la scheda BA283 ( anche se poi lo ritroviamo sfruttato all’interno di un’altra configurazione all’interno del pre 1290, ma questa è un’altra storia…).

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